In quella che si può definire la nazionale inglese più iconica, ovvero, quella di Euro ’96, il ruolo del terzino destro e di quello sinistro erano affidati rispettivamente a Gary Neville e Stuart Pearce che, altrettanto rispettivamente, hanno definito due modi diversi di intendere la stessa posizione in campo. Da una parte la sicurezza e l’affidabilità del numero 2 del Manchester di Sir. Alex Ferguson, dall’altra l’imprevedibilità e la bellezza della barbarie del numero 3 del Nottingham Forrest di Brian Clough.
Il termine affidare accostato a Neville, del resto, assume un valore ancora più forte dal momento che Gary può essere definito a ragion veduta il terzino inglese per antonomasia. Su quella fascia, infatti, Gary non ha solo costruito un carriera ma ha plasmato idea e forma di cosa su quella fascia si dovesse fare. Il ragazzo di Bury, sobborgo di Manchester, è stato fedele allo United per tutta la sua carriera, 440 partite dal 1992 al 2011 senza considerare le giovanili, diventando così il fegusonianesimo in persona. Lui uno dei Fergy’s Fledling (ovvero i pulcini di Ferguson inteso anche in senso di novellini) insieme a David Beckham, Nicky Butt, Ryan Giggs e Paul Scholes – con i quali nel 2014, insieme anche al fratello Phil, ha acquistato le quote del Salford City portandolo dai dilettanti alla League Two – rappresenta Manchester nel senso di culla del cambiamento e della rivoluzione brit di metà anni 90. Instancabile. Ha corso chilometri su un solo binario con cross in automatico una volta arrivato sul fondo e una caparbietà fuori dal comune. Se per tanto si voleva essere un terzino degno di giocare in Premier bisognava ripetere questo modello, il che comprendeva, di contro, mai accentrarsi, mai tirare da fuori, non eccedere nei dribbling, non essere appariscenti.
Per anni Neville ha rappresentato il ruolo del terzino. Essere Gary Neville, parafrasando il celebre film Essere John Malkovich, è stato il mantra di molti giovani difensori.
Dall’altra parte del campo, in una superba tensione tra apollineo e dionisiaco, sulla fascia sinistra si stagliava l’altra icona della terzinità: Staurt Pearce detto anche Psycho. Pearce, in realtà, è un fuoriclasse dei terzini ed è un discorso che meriterebbe una trattazione più ampia (è quasi scontato che scriverò un articolo su di lui) dal momento che nei suoi 12 anni al Nottingham Forrest ha collezionato 401 presenze e 63 goal molti dei quali su punizione con un mancino spacca porta che non hanno avuto neanche Roberto Carlos e Sinisa Mihaijlovic. Basta vedere il gol su punizione nella finale di FA Cup del 1991 persa contro il Tottenham.
Pearce ha simboleggiato appieno la rudezza del calcio inglese a cavallo tra glia anni ’80 e ’90 con tutti gli eccessi che la rilettura della trazione comporta. Un tensione espressa sia nel duro scontro a suon di insulti razziali con Paul Ince, sia nello stress esasperato di dover essere i detentori/inventori del calcio nonostante i continui insuccessi della propria nazionale. Tutto questo si trova e si esprime nel calcio di rigore nei quarti di finale di Euro ’96 contro la Spagna quando Stuart, dopo aver sbagliato il rigore decisivo ad Italia ’90 contro la Germania in Semifinale, si presentò sul dischetto e, dopo aver segnato, esplose in un “camoooooonnnnnn…..fuuuuuuckkkk” trasfigurante.
Poi il calcio si è trasformato e tutti i giocatori sono diventati ancora più totali dell’Ajax di Cruyff. E tra i ruoli che hanno subito uno dei maggiori restyling c’è stato quello del terzino, soprattutto attraverso tre nuove “direttive”: il deragliamento, ovvero la capacità di cambiare gioco uscendo dalla propria fascia/binario; l’intraprendenza, oltre al dribbling, la capacità di spezzare il ritmo attraverso una giocata, per l’appunto, intraprendente; i piedi buoni, fondamentali in un calcio sempre più offensivo che mette più volte i giocatori difensivi davanti al portiere.
E proprio in questo cambiamento i mondi e modi di Neville e Pearce si sono fusi. Il terzino di oggi è un Gary Pearce in grado di inventare calcio e difendere con costanza addolcendo gli spigoli di Stuart e aumentano la creatività di Gary.
Qui presentiamo, dunque, i terzini più promettenti di questa nuova scuola ad iniziare forse da quello che in realtà non ha bisogno di presentazione, ovvero Trent Alexander-Arnold.
Così come Phil Foden, che si è trovato nel momento giusto al posto giusto mentre il ruolo della mezz’ala veniva reinventato nel Manchester City di Guardiola, così Trent Alexander-Arnold si è trovato alla corte dell’allenatore-padre dell’agonismo, ovvero Jurgen Kloop. L’ideale per sviluppare il concetto di corsa e progressione palla al piede e quello di giocata veloce nel spazio.
Trent nasce a Liverpool il 7 ottobre 1998 e, dopo aver seguito le giovanili dei Reds, debutta in Premier il 14 dicembre 2016 nel match vinto 3-0 contro il Middlesbrough. Crescere in quel Liverpool alla velocità di Kloop, che non a caso è il testimonial di una nota marca automobilistica tedesca, significa essenzialmente andare e pensare più veloce di tutti. Significa anche avere piedi da centrocampista e questo lo dimostra quasi subito al suo debutto Champions segnato contro l’Hoffeneim su punizione. Il deragliamento diventa per Trent un nuovo comandamento e si specializza ben presto in tagli di campo di 40 metri in grado di attivare e inventare gioco sulle zone di campo libere, senza dimenticare le basi di ogni terzino in un sistema a 4, ovvero la diagonale. Trent stupisce tutti nella stagione della cavalcata Reds in Champions (2018/2019) non solo per le doti fin qui elencate ma anche, e soprattutto, per quell’intraprendenza che esce all’improvviso nel momento più difficile.
Dopo la semifinale di andata al Camp Nou persa per 3-0 contro il Barcellona, il Liverpool vedeva ridotte al minimo le sue possibilità di qualificazione, eppure, la sera del 7 maggio 2019 nel ritorno ad Anfield avvenne la più classica delle rimonte Champions nella quale il ruolo di Trent fu decisivo. Pronti via e dopo 6 minuti il Liverpool passa in vantaggio con Origi. Il Barca, nonostante continui a giocare il suo calcio veloce finalizzato da un sempre pericolosissimo Messi, inizia a piombare nell’incubo Anfiled quello in cui il coro “You’ll never walk alone” diventa una sentenza sostenendo i propri beniamini e tagliando le gambe a qualsiasi avversario. Così al minuto 53 su una palla persa sulla trequarti dal Barca, Trent si fionda con la cattiveria del miglior Pearce e si invola sulla fascia con la certezza del miglior Neville, rallenta per un attimo il passo, alza lo sguardo e mette un pallone al centro teso e veloce che la forza centripeta dell’accorante Wijnaldum trasforma nel 2-0. Due minuti dopo, sempre lo stesso Wijnaldum, firma il 3-0 di testa. Ormai siamo nell’estasi totale in quel trasporto catartico in cui un presumibilmente Pearce viveva ogni partita. Al minuto 78, poi, Trent decide che è arrivato il momento per la Kansas City Shuffle, ovvero la mossa secondo la quale si vuol far credere a qualcuno di compiere un determinata azione mentre in realtà se ne sta facendo un’altra. Così Trent si porta sulla bandierina per battere un calcio d’angolo. I vari giocatori in area stanno prendendo lentamente posizione. Trent è sulla lunetta dell’angolo, testa bassa e passo stanco. Chiama Shaquiri per battere l’angolo e si allontana. Fa qualche passo in direzione del compagno che nel frattempo sta sopraggiungendo al piccolo trotto. Del resto con questo risultato a pochi minuti della fine si andrebbe comunque ai supplementari cosa che, fino ad una settimana prima, sembrava essere un miraggio. Poi all’improvviso, Trent si gira su stesso, torna sui suoi passi e batte il corner con un destro potente e basso. In mezzo all’area i giocatori del Barca stanno ancora disponendo le marcature e hanno completamente dimenticato Origi, il quale, tutto solo insacca la rete del 4-0. Semplicemente geniale. Il Liverpool va in finale e vince la Champions ma cosa sarebbe stato se Trent avesse ragionato da semplice terzino? Nella stagione attuale, quella che vede il Liverpool con la Premier in tasca aspettando solo la decisione della UEFA sulla ripresa dei campionati, Trent è ormai una certezza assoluta ed è già riuscito ad eguagliare il suo record di assist della stagione precedente, 12, aggiungendo anche 2 goal. Nella classifica degli assist fatti in questa stagione, Trent è secondo solo a Kevin De Bruyne del Manchester City con 15. Non male per un terzino, e a dirlo è stato recentemente Alan Sherear, semplicemente il miglior marcatore della Premier League con 260 goal.
Altra rivelazione di quest’anno, anche se le basi erano state messe nella passata stagione in Championship, è la coppia di terzini del Norwich, Max Aarons e Jamal Lewis rispettivamente classe 2000 e 1998 e rispettivamente terzino destro e sinistro. Per Jamal Lewis faremo un’ eccezione in quanto, seppur nato in Inghilterra, gioca con la nazionale dell’Irlanda del nord.
Nella squadra di Daniel Farke, l’allenatore tedesco alla guida dei canarini dal 2017, molti giovani sono riusciti ad emergere arrivando ad affermarsi e superare lo status di “promessa” come James Maddison e Todd Cantwell. Senza considerare che la linea difensiva a 4 oltre a Lewis-Arrons è composta anche dal centrale Ben Godfrey, altro prodotto del vivaio classe 1998. Il Norwich di Farke, seppur con qualche risultato altalenante è una squadra che punta molto sulla velocità e sul gioco offensivo, contesto perfetto per esaltare le doti dei terzini. La crescita di Max e Jamal è pressoché contemporanea dal momento che i due hanno condiviso lo stesso percorso giovanile tra Luton e Norwich e che l’infortunio al ginocchio di Jamal ne ha ritardo la titolarità “aspettando” così di fatto il suo collega di due anni più giovane. Lo stile con cui interpretano il ruolo è abbastanza simile diventando così una coppia perfettamente speculare. Entrambi infatti hanno una notevole propensione agli inserimenti ma, se Jamal preferisce quelli con la palla e in linea, Max, invece, predilige quelli senza palla che tagliano dietro la difesa. Alla loro prima stagione insieme da titolari (2018-2019), Max e Jamal hanno giocato 41 e 42 partite nelle quali Jamal ha realizzato 4 assist e Max 6 assist e 2 goal. Uno sforzo decisivo per la promozione del Norwich in Premier. Alla fine della stagione entrambi verranno inserti nella top 11 dei migliori giocatori del campionato e Max verrà anche eletto miglior giovane della Championship battendo la concorrenza di Henry Wilson, talentuosa mezz’ala gallese del Derby County di Frank Lampard.
La particolarità della coppia Lewis-Aarons sta nella perfetta alchimia di reparto, anche se tra i due corrono i 68 metri di distanza del prato di Carrow Road. Un’alchimia difficile da trovare anche ai tempi dello United degli anni ’90 tra Gary Neville e Denis Irwin che, pur insieme, hanno vinto tutto.
Tra Jamal e Max l’intesa sembra essere crescente e, proprio quest’anno, i due sono riusciti a suggellarla con assist-goal nella vittoria in casa contro il Leicester (28/02/2020) dimostrando in un un’unica azione i tre principi del deragliamento, dell’intraprendenza e dei piedi buoni.
Minuto 70, Godfrey sulla linea di centrocampo taglia il campo sulla destra in direzione Aarons. Max stoppa a seguire, si accentra e punta Chilwell. Una serie di finite per liberarsi ed effettuare un cross che taglia tutta l’area. Il telecronista, seguendo l’azione sembra essere contrariato e dice “He’s got to much on it”(come a dire che ha calibrato male la potenza del passaggio) mentre la palla sembra compiere un’inesorabile traiettoria verso l’unica zona di campo vuota. L’alchimia però è questa. Essere lì dove nessuno se l’aspetta tranne chi ti conosce davvero. Ed ecco così che Jamal si materializza. Stop di petto, un ribalzo, e sinistro terra-aria nell’angolo opposto. 1-0. Semplicemente poesia d’amore da terzini moderni.