Darko Pančev non è stato solo un grande calciatore, è stato un grande filosofo.
Nasce a Skopje in un umido martedì di settembre del 1965 – che era umido lo supponiamo, non avendo dati certi sottomano; ma per lo stesso motivo, nessuno al momento può contraddire la nostra supposizione. Fin da subito i suoi genitori vedono in lui un radioso futuro: lo vedono viaggiare il mondo, spostarsi di continuo, sfrecciare verso obiettivi sempre diversi, sempre più grandi. È chiaro a tutti che il piccolo Darko avrebbe fatto il camionista, ma lui ha progetti diversi.
Un fulminante inizio di carriera
Pančev sa che può dare al mondo qualcosa di più di un autoarticolato. Può regalare emozioni e profondità di pensiero. Può essere il primo macedone famoso dai tempi di Alessandro Magno: vuole conquistare il suo impero a suon di gol, cambiare il mondo offrendo un modello dentro e fuori dal campo. Soprattutto fuori, grazie alla sua filosofia di vita che il Maestro dei Cinque Picchi in confronto è Lele Mora.
Pančev muove i primi passi calcistici nel Vardar, squadra che prende il nome dal fiume della sua città. Qui si segnala come ottimo attaccante e vince il primo campionato jugoslavo nel 1987; ha una media gol invidiabile – più di un gol ogni due partite – e mezza Europa mette gli occhi su di lui. La metà che sta a est, per la precisione.
Nel 1988 viene acquistato dalla gloriosa Stella Rossa di Belgrado, dove esplode definitivamente. Segna 84 gol in 91 partite e trascina la squadra alla vittoria della Coppa dei campioni nel 1991. Nello stesso anno avrebbe anche vinto la Scarpa d’oro, se non fosse che la UEFA decide proprio quell’anno – e solo quell’anno – di non ufficializzare la competizione. La motivazione ufficiale è un sospetto di segnature irregolari a Cipro. Come se a qualcuno gliene sbattesse meno di una fava di chi segna a Cipro. Molti tifosi dell’Inter sospettano invece che non siano mai esistiti proprio i gol di Pančev, ma comunque il premio gli viene consegnato nel 2006 (che tanto, ormai…).
In questo periodo approccia anche allo studio dei grandi del pensiero, ma la sua carriera d’intellettuale è ancora di là da venire.
Pančev, l’Inter, la filosofia, la falegnameria e le auto di lusso
È il 1992, sono gli ultimi anni di Ernesto Pellegrini alla presidenza dell’Internazionale, prima dell’inizio dell’era Moratti. La squadra viene da un deludente ottavo posto in Serie A e la dirigenza medita un grande colpo di mercato per un immediato rilancio.
Arriva infatti Ruben Sosa.
Arriva anche Mathias Sammer, ma lui diventerà forte solo dopo aver lasciato l’Inter. E arriva pure Darko Pančev, ma lui invece smette di essere forte giusto un momento prima di mettere la firma sul contratto.
È il nuovo Paolo Rossi.
– Ernesto Pellegrini su Pančev
Una profezia quanto mai azzeccata. Osvaldo Bagnoli – allenatore nerazzurro dell’epoca – già ad agosto lo paragona piuttosto ad un guard rail, visto lo scarso movimento sul campo. Ma il campionato inizia e Darkino fa il boom: dopo 5 gol in Coppa Italia, non vede la porta neanche con la lente d’ingrandimento. La sua carriera da titolare non dura molto.
Eppure, per motivi ignoti ai più, il cobra di Skopje rimane all’Inter due stagioni e mezzo. Colleziona la bellezza di 19 presenze totali e mette a segno sì e no 3 gol, a dimostrazione di essere un attaccante pronto per il calcio che conta. E infatti viene ri-soprannominato il ramarro, per meglio descrivere la sua cattiveria in area di rigore.
È in questo momento che Darko sviluppa in maniera definitiva le sue attitudini filosofiche. La tanta panchina e la tanta tribuna gli danno il tempo di pensare, e così lui pensa. Nel ’94 provano a mandarlo pure al Lipsia: gioca dieci partite, ma ormai la sua testa è altrove. Pančev è ormai vicino agli ambienti del nichilismo metafisico e del pragmatismo niebuhriano. Espone le sue tesi anche in pubblico, e specialmente durante le interviste – momenti in cui distilla solo il meglio del suo pensiero.
Tifosi fischiano, giornalisti criticano… Importa sega a me: io domani compro Ferrari.
– Darko Pančev a proposito del significato della vita
Chi di noi non ha pensato, almeno una volta, “Questo ha capito tutto”?
La teoria del complotto
Ma Darko, da grande intellettuale qual è, sa che la sua disavventura all’Inter non è causa delle sue doti tecniche. Doti presunte ma mai esibite a Milano. E neanche a Lipsia. E nemmeno a Düsseldorf. E in fin dei conti nemmeno a Sion, dove vince un campionato svizzero ma gioca tipo 5 partite e segna solo alla Playstation.
Qualche anno dopo aver appeso gli scarpini al chiodo dichiara: “[All’Inter] qualcosa non andava; capii che ci furono manipolazioni per non farmi scendere in campo. I tifosi più giovani devono sapere com’è andata”.
Tutto si spiega.
I poteri forti, le Big Pharma, forse Soros, hanno spinto forte sulla dirigenza e lo staff nerazzuro per non far giocare Pančev. Lui sapeva troppo; lui poteva troppo. Non potevano rischiare. Lui non si perdona lo sbaglio: “quando passi da un team che gioca un grande calcio ad uno che ne gioca uno non buono, è facile da capire come si sia trattato di un errore […] A quei tempi sarei potuto andare al Real Madrid, al Barcellona o al Manchester United. In un club di quel tipo. La mia carriera è stata rovinata”.
Dopo il calcio
Quando finisce la carriera da calciatore, Darko torna a Skopje. E a Skopje vogliono farlo skopare. Gli viene offerta infatti una carriera da pornoattore. È una notizia riportata su articoli vari, di cui non abbiamo verificato la fonte: non abbiamo motivo di crederci, ma vogliamo farlo. Prendetela così.
A quanto pare, però, lui rifiuta. Lo eleggono miglior calciatore macedone della storia a cavallo del nuovo millennio (vi sfido a ricordarvene altri prima di Pandev), e qui finisce tutto. Lui ora sta a casa sua, con moglie e figli. Tranquillo. In pace con sé stesso. E continua la carriera da pensatore.
Sta ancora pensando a quella volta che per poco vinceva il Pallone d’oro.