Palle di cuoio inaugura la nuova rubrica Ritratti, un viaggio nei volti, nei piedi e nelle storie di chi ha fatto la storia del calcio (nostrano e non solo).. La prima scheda è dedicata a un uomo che ha fatto della somiglianza con Mastro Lindo la sua dote principale, specialmente all’interno dei rettangoli di gioco: Carsten Jancker.
Jancker nasce il 28 agosto 1974 a Grevesmuehlen, piccolo borgo della Terra di mezzo al confine tra i regni di Gondor e Harondor, non distante dalla baia di Belfalast. Dopo aver superato le prove di maturità – che consistono, secondo tradizione del suo paese, nell’uccidere due orchi e quattro orsi con una sola mano – il giovane Carsten si mise in luce e intraprese la carriera calcistica (all’epoca fece scalpore soprattutto la sua capacità di trovare orsi con una sola mano, molti rari da quelle parti). Fece la trafila delle giovanili nel Rapid Vienna, dove però non rimase a lungo per via dell’incompatibilità del nome della squadra – Rapid – con la sua agilità da tricheco: nel ’97 venne ceduto al Bayern Monaco, dove finalmente poté sfoggiare tutta la sua classe sopraffina.

Dopo sei anni, qualche gol e molte vittorie, nel 2002 il roccioso attaccante si trasferì all’Udinese, dove lo accolsero come il nuovo Bierhoff e dove ben presto si accorsero che era piuttosto il nuovo Carlos Alberto Pavon (solo meno abbronzato); Bierhoff infattti, quell’anno giocherà la sua ultima stagione in carriera al Chievo, dove scenderà in campo all’incirca le stesse volte di Jancker, segnando più del triplo dei gol. Ma tant’è… il gigante di Grevesmuehlen è una colonna della squadra bianconera: nel senso che con la colonna condivide le doti di dribbling e scatto in area, nonché il senso della posizione: d’altro canto, se colpito dal pallone sul giusto spigolo della pelata, ogni tante anche super Carsten riesce a buttarla dentro. In quelle occasioni, però – con una certa regolarità-, piove.
Gli anni successivi sono tutto un girovagare alla ricerca di una nuova identità: prima al Kaiserslautern, poi al Shangai Shenhua, poi ancora – fino a fine carriera – al Mattersburg; in cinque anni realizza 25 gol, circa la metà di quelli siglati con la maglia del Bayern. Il suo cognome, ormai, è sinonimo di guardrail, e il fuoco sacro del calcio si spegne piano piano (s’era mai accesso?). Ora Carsten è vice allenatore del Rapid Vienna, e ha ritrovato finalmente il luogo che più gli compete, da sempre: la panchina.