La riforma della Champions League non ci convince.

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Si prevedono grosse novità con l’imminente riforma della Champions League: dopo il 2018, sotto la pressione dei grandi club, potrebbe cambiare tutto. O quasi.

Alcune squadre ricche d’Europa – Bayern, Barcellona, Juventus e altre – hanno a lungo spinto per la creazione di una Superlega continentale: solo le grandi squadre, poche, che si staccano dai campionati nazionali e dalla UEFA. A tanto, per ora, non si arriverà. Ma non si va nemmeno troppo lontano.

La riforma della Champions League

La UEFA – all’ipotesi di creazione di una Superlega che riducesse la vecchia coppa dei campioni a torneo n° 2 – se l’è ovviamente fatta sotto dalla strizza: “e tutti i soldi che ci pigliamo adesso chi ce li ridarebbe più?”, ci sembra di sentirlo come se Villar fosse qui con noi. Ecco allora il passo verso le big: la Champions League rimarrà un torneo a 32 squadre con 8 gironi all’italiana e una fase finale eliminatoria, ma i criteri di selezione delle squadre cambieranno drasticamente.

Innanzitutto, niente più ranking come lo conosciamo oggi, ma rielaborato in base alla “storia” dei club. I quattro grandi campionati – Inghilterra, Spagna, Germania, Italia – dovrebbero avere quattro posti a testa garantiti per le loro squadre, così divisi: qualificazione per le prime tre classificate di ogni campionato, più un’eventuale compagne ammessa per meriti storici. Per fare due esempi: con la classifica dell’ultima Serie A, parteciperebbero alla coppa Juventus, Napoli, Roma, Milan (arrivato settimo); dalla Premier League arriverebbero invece Leicester, Arsenal, Tottenhame e una tra Manchester United (arrivato quinto) e Liverpool (arrivato ottavo).

Rimarrebbero così due posti a testa per Francia, Portogallo e Russia, quattro o cinque posti per i vincitori dei campionati che seguono nel nuovo ranking e altrettanti da assegnare attraverso playoff.

Cosa cambia nei fatti

Con queste modifiche si avranno quasi garantiti i posti per i grandi club e meno spazio per le cosiddette piccole squadre. Questo ovviamente significa più soldi per i grandi club e briciole per gli altri; ma anche – secondo i promotori della riforma – anche più spettacolo. Meno piccole squadre dovrebbe significare meno catenaccio, più partite aperte e più sfide interessanti. Il rischio di avere un ottavo di finale come Gent-Wolfsburg dovrebbe essere ridotto a zero.

Un passo deciso versa la Superlega, mantenendo però il format della coppa come siamo abituati a vederlo da anni.

Cosa non ci piace

Questa riforma della Champions League farà sicuramente girare più grana, ma invece di garantire più spettacolo rischia di appiattire il valore della manifestazione. Certo, la sfida Gent-Wolfsburg che abbiamo citato sopra non è una sfida da Champions, lo abbiamo detto o pensato tutti. Però non lo è oggi, così come non lo sarebbe stato una sfida Chelsea-Manchester City negli anni Novanta; mentre negli ultimi anni avrebbe potuto tranquillamente essere una finale.

Il calcio cambia e con lui le società e il valore delle squadre; escludere una quarta classificata in favore di un club storico potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Siamo certi che il Liverpool dell’anno scorso avrebbe garantito più spettacolo del Manchester City? E il Milan dello scorso campionato avrebbe fatto sicuramente meglio dell’Inter o della Fiorentina? Il Valencia dodicesimo avrebbe fatto meglio del Villareal quarto?

Il rischio, a nostro avviso, è che vengano disincentivati gl’investimenti nelle altre squadre: diventare grande sarà sempre più difficile perché giocare la Champions diventerà sempre più difficile per chi grande non è già. E questo potrebbe significare, alla lunga, avere un torneo sempre uguale. Niente di grave, si chiaro: il Sei nazioni di rugby è sempre uguale da anni e nessuno si lamenta; però ci piace sognare un po’. Sperare che un Leicester qualsiasi – miracolato quest’anno – possa fare altri onesti campionati e avere la possibilità di giocarsi le coppe e costruire sul lungo termine. Ma anche dare la possibilità a squadre di livello medio-alto di poter far fruttare un quarto posto e investire per le stagioni successive.

Di contro, c’è da dire che le piccole che hanno avuto l’opportunità di giocarsi la Champions, non sempre se la sono giocata bene. Pensiamo all’Udinese di Guidolin, giusto per guardarci in casa – ma questa è probabilmente una tara tutta italiana: quella miopia che fa vedere le coppe più come un peso che come un’opportunità.

Probabilmente la nostra visione è fin troppo disfattista: la riforma della Champions League non ci impedirà di seguire la coppa e di divertirci come sempre abbiamo fatto. E forse non sarà nemmeno tanto elitaria quanto sembra volere negli intenti. Chi vivrà vedrà. Nel frattempo godiamoci l’edizione che sta per iniziare!