Se sei il Milan non puoi abituarti a perdere. La tua storia te lo impedisce, il tuo lignaggio cerca di proteggerti anche di fronte all’accumulo di figure barbine. Anche in una stagione in cui tutto va storto; anche di fronte a prestazioni imbarazzanti.
Ogni sconfitta fa sempre più male: lasciare punti per strada significa alimentare una ferita che non si ricuce. Il sangue sgorga, rosso e nero, travolgendo tifosi, classifiche e investitori (almeno a sentire le voci che vogliono il club in vendita al miglior offerente…). Rabbia, ovunque.
Neanche il cambio di medico sembra giovare ai malati, nonostante l’assunzione di pastiglie diverse e ringalluzzenti più del viagra. Queste nuove cure, di origini giapponese e franco-marocchina, non sono riuscite a guarire il male che affligge Milanello e dintorni. Solo palliativi dalla breve durata; antidolorifici che ritardano la sensazione di dolore già presente nel corpo. La disperazione aleggia fuori e dentro il campo, senza il minimo straccio di un placebo auspicato. Un quadro clinico che si attesta sulla soglia della tragedia visto che mancano ancora due mesi e mezzo alla fine della stagione. C’è il rischio che il paziente possa morire per davvero.
La sconfitta di Udine arriva in un momento delicato. Settimana prossima il Milan di Seedorf vola a Madrid per affrontare l’Atletico di Simeone in una battaglia decisiva, e non solo per il futuro dell’olandese. Di Natale, risvegliatosi con i primi abbozzi di primavera, ha fatto comparire, sulla pelle dei milanisti, tutte le macchie d’insicurezza che si erano manifestate nella prima parte di questa sciagurata degenza stagionale. L’assist di Bruno Fernandes, la palla che trafigge Abbiati: un incubo che torna realtà. Lo stato comatoso della difesa (Zapata e Mexes su tutti), la paralisi del centrocampo (Montolivo e Honda in versione bradipo dormiente) e l’anoressia dell’attacco (Pazzini e Robinho non segnano dal lontano ’43) hanno trasformato lo spogliatoio in una sorta di lazzaretto manzoniano in cui il contagio dell’inettitudine non fa prigionieri, neanche tra i fuoriclasse.
Servirà una scossa per la Champions. C’è da portare a casa una qualificazione che profuma d’antidoto: il veleno che i tifosi hanno ingoiato in questa stagione è troppo anche per chi ha una salute di ferro. Urge una cura definitiva ma la ricerca del medico è ancora in corso.
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