La finale dei 100 metri è uno dei grandi classici dello sport. Una gara ricca di fascino che da sempre appassiona tifosi e no. In questi giorni si stanno disputando i mondiali di atletica a Pechino e il nome di Usain Bolt ha accompagnato nuovamente le grida dei commentatori. Il giamaicano, infatti, ha tagliato per primo il nastro invisibile confermandosi l’uomo più veloce della Terra. Il tempo? 9.79! Tutto scontato? no! La velocità non ha perso il suo monarca che, prima di fare il suo show, prima e dopo la gara, ha fatto tremare i suoi tifosi.
Sì, non è stato una vittoria sul velluto. Per molti addetti ai lavori, addirittura, il favorito della vigilia era Justin Gatlin. Sì, l’americano fermato per doping ma tornato quest’anno a correre velocissimo. Un armadio di muscoli e tatuaggi. Un colosso, soprattutto accanto al suo rivale. Era indicato come possibile vincitore per i tempi fatti ma anche per il percorso netto e convincente fatto prima di arrivare (e durante le batterie) in Cina. Più di Bolt che tra sponsor, distrazioni, eventi era dato in scarse condizioni fisiche e mentali.
Una semifinale da thriller
Anche perché Bolt ha rischiato di non farla questa finale. Poche ora prima, per colpa di un partenza strana, ha rischiato di inciampare e di prendersi lo scherno e le battute di mezzo mondo. Una semifinale vinta in rimonta, con grande dispendio di energie e un grande respiro di sollievo. Una rincorsa, una vittoria per un soffio e l’accesso in finale. Con molti dubbi e qualche giudizio frettoloso nei suoi confronti. Ma tutto ha contribuito a mettere pepe. A giustificare ancor più l’attesa snervante per la sfida con Gatlin e il resto della truppa americana (sempre di rosso vestita).
Gay e Powell, adios!
Altri due grandi campioni erano attesi nella lotta per il bronzo (e ad un’altra sfida tra Giamaica e Usa). Ma Asafa Powell, irriconoscibile anche per via delle sopracciglia depilate, e Tyson Gay, con una barbetta orribile e anti-estetica, hanno corso con la velocità di un bradipo in siesta e scrivendo, con tutta probabilità, il loro ritiro dal grande palcoscenico dello sprint mondiale.
Al loro posto, entrambi sul terzo gradino del podio, due ventenni terribili: Andre De Grasse (Canada) e Trayvon Bromell (USA). I due hanno corso entrambi in 9.92. Simili nella corsa, identici nel tempo (ai millesimi). Ci sbilanciamo: l’anno prossimo alle olimpiadi di Rio daranno ancor più filo da torcere ai due alieni.
I tifosi giamaicani con gli occhi a mandorla
Ogni qualvolta Bolt si presenta ai nastri di partenza, al regista tocca inquadrare la famiglia sportiva del giamaicano. Connazionali, corridori, donne tarchiate e chiassose, uomini canterini, bandiere al vento. Un mix di rumore, tifo, energia, entusiasmo e folklore. A Pechino però spiccavano tra queste figure alcuni tifosi speciali: giovani uomini e donne, chiaramente cinesi, che scandivano il nome di Bolt e il nome della Giamaica manco fossero nati sull’isola carabaica. Una roba inguardabile, surreale. Globalizzazione? Ecco, non la stai facendo nel mondo giusto…